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volume id: 08 - Laudario

datazione : 1300 / 1400

Descrizione : 1
Descrizione : 2

Descrizione :
Il volume da sfogliare:
[Q1030] Laudario Fiorentino - 1350 - Firenze - eb2 : Q1030 - eb2 -
E' stato anche edito dall'Archivio Storico Arcivescovile il volume:
[ARGL10]
Titolo : Don Gilberto Aranci - Laudario fiorentino del Trecento - Firenze - Giampiero Pagnini Editore - 2015 - eb2 : Q1162 - eb2 -

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- 1. ff. 1*r-29r Laudi
- 2. ff. 29v-30v Litaniae
Membr.; ff. IV, 32 (I*-II*, I-XXX), IV'; 1(2); 1-3(8); 4(6)   257 x 195 (max., irreg.) = 20 [172] 62 x 21 [130] 42 (f. XVIIIr); 25 [166] 66 x 39/ 6 [121] 25 (f. XXVIv); ll. 17/18: il corpo della scrittura è nel bilineo, come il manoscritto liturgico fino a f.XXIVv, Iniziali semplici solo ad inchiosrtro rosso, rubricato; legatura
La legatura di restauro ha recuperato frammenti delle coperte precedenti
Note al testo:
Le laudi sono tutte pubblicate in Aranci, Laudario con riferimenti agli altri laudari trecenteschi toscani, in particolare Cortona, Biblioteca Comunale e dell'Accademia Etrusca 91 e Arezzo, Biblioteca Comunale "Città di Arezzo" 180. E' da tener presente che in quest'edizione si segue una numerazione logica, da 1 a 34 dei fogli (tenendo conto anche del bifoglio caduto nell'ultimo fascicolo), non riportata dal manoscritto. Nelle litanie si rileva la presenza di san Giovanni Gualberto. A differenza dei laudari sopra citati questo non presenta aggiunte fascicolari, la struttura nel suo complesso pare sincrona, ma la parte testualmente compatta occupa il primi tre quaterni, il ternione finale presenta ampi spazi in bianco e interventi di mano leggermente successiva (la Laude ai ff. XXVIIIv-XXIXr). Una mano in scrittura mercatesca (sec. XIV-XV) ha vergato una lunga invocazione sul f. I'r, foglio frammentario e risarcito in sede di restauro .
Note:
Il codice venne édito nel 1870 dal Canonico Eugenio Cecconi, che non ne specifica il luogo di conservazione; è dunque incerto se fosse di sua proprietà oppure dell'archivio arcivescovile, cosa piuttosto probabile se effettivamente l'origine fosse riportabile alla pieve di S. Eustachio ad Acone, feudo dell'arcivescovo fiorentino, come ipotizzato da Aranci, Laudario fiorentino (in bibl.). E' certo il collegamento del laudario ad una compagnia di laudesi, probabile che questa fosse intitolata alla Vergine, cui è dedicato il gruppo più omogeneo di laudi e che si appoggiasse ad una chiesa dedicata a s. Eustachio (cui sono dedicate laude iniziale e finale). Dai documenti d'archivio alla pieve di S. Eustachio ad Acone si appoggiava una compagnia, intitolata a S. Maria 'ad Nives'. Cecconi, invece, a suo tempo avanzava un legame con una compagnia di laudesi dedicata espressamente a S. Eustachio, quale quella che si appoggiava alla fiorentina Chiesa di Sant'Ambrogio.
Bibliografia:
Bettarini, Notizia di un laudario, 55-56
Varanini-Banfi-Ceruti Burgio: Laude cortonesi, passim
Aranci, Laudario fiorentino,
Aranci, Laudario, 9-201
La numerazione originale in alto al centro dei fogli, di grande modulo in numeri romani ad inchiostro rosso, richiede una spiegazione dettagliata. Affida al bifoglio iniziale (di recente segnato a matita al marg. inf. I-II) una funzione di apertura, non numerando il recto del primo foglio, segnando invece I sul verso e sul recto affrontato. In fine presenta un salto, probabilmente dovuto a caduta di un bifoglio e non è estesa agli ultimi due fogli, che in effetti utilizzati in periodo leggermente successivo, Da XXVII la cartulazione è proseguita in basso a matita da mano recente.

Descrizione : 2

IL LAUDARIO FIORENTINO DEL TRECENTO
a cura di Gilberto Aranci
Introduzione
Il Codice
L'archivio arcivescovile di Firenze conserva nel fondo membranaceo un piccolo codice trecentesco che contiene una silloge di numerose laudi. L'unico e più recente studio che è stato condotto su questo codice e sul suo contenuto risale al 1970 e si deve a Rosanna Bettarini che così lo descrive:
"Il manoscritto è membranaceo, di mm. 190x250; la mano principale è databile intorno alla metà del secolo XIV, affiancata da numerosi interventi coevi, seppure non sempre nettamente distinti tra loro, essendo per tutti comune denominatore l'abitudine a trascrivere libri liturgici".
Di questo codice fu fatta l'edizione nel 1870 dal canonico Eugenio Cecconi, letterato e storico famoso per la sua Storia del Concilio Vaticano I e dal 1874 arcivescovo di Firenze, in occasione delle nozze del fratello. È a partire da questa edizione che il codice col suo contenuto è stato catalogato nei diversi repertori dei laudari trecenteschi. Come del resto è stato utilizzato e collazionato nella edizione delle Laude cortonesi.
Questi riferimenti ci testimoniano l'importanza attribuita al nostro manoscritto per la storia della musica e del canto sacro così diffuso a partire dal XIII secolo. Questa è la prima ragione che ci ha spinto a pubblicare una nuova edizione della collezione "fiorentina" delle laudi con una trascrizione più rispettosa e accurata del testo e dell'ordine delle laudi stesse. L'edizione del Cecconi, infatti, anche se testualmente risulta affidabile, non rispetta la sequenza originale dei canti ma, imponendo una struttura che potremmo definire "dottrinale-liturgica", dà alle laudi un ordine a partire dal loro contenuto facendolo corrispondere alla tematica del Credo cristiano: dalla Santissima Trinità fino alle verità ultime (giudizio e morte) passando attraverso i misteri di Cristo e alla memoria della Vergine Maria e dei santi. Di fedele all'originale rimane soltanto la posizione iniziale e finale delle due laudi in onore di S. Eustachio.
Almeno altri due motivi ci hanno indotto alla fatica di un'edizione più fedele: la possibilità di accedere a un testo, che collazionato con altri coevi e simili e più completi, cistituirà uno strumento per uno studio globale della vita religiosa del Trecento legata all'esperienza delle confraternite laicali e alla pratica devozionale del canto in lingua volgare. Altro motivo che ci riguarda più da vicino è l'attenzione che va rivolta ai testi dei canti considerati come strumenti di espressione e quindi di trasmissione delle verità fondamentali della dottrina cristiana. In questo senso risulta significativa la suddivisione e l'ordine dati ai componimenti dal Cecconi nella sua edizione facendo intravedere la possibilità di un'indagine di tipo catechistico-dottrinale sull'uso popolare del canto delle laudi volgari.
Provenienza del Codice
Il Cecconi tace riguardo al luogo della giacenza del codice e se questo fosse di sua proprietà oppure fosse già conservato nell'archivio arcivescovile. In quanto alla provenienza il Cecconi fa questa osservazione: "Sembra ch' e' fosse un libro di Compagnia di Laudesi, essendo pieno di Laudi ed altri cantari, ricchissimi in lingua e di una ingenuità da non si dire. La Compagnia pare fosse intitolata a santo Eustachio, perché comincia e finisce con una Laude a questo santo, detto ivi Estagio o Astagio. Trovo infatti in un Zibaldone di Ferdinando del Migliore (Bibliot. Magliabech., oggi Nazionale, Class. xxvi, Cod. 139, c. 186) rammentata una Compagnia di S. Eustachio, che aveva sua sede nella nostra Chiesa di santo Ambrogio".
A questo proposito ci sembra di poter avanzare alcune riserve su questa indicazione e suggerire un'altra ipotesi.
Si tratta senz'altro di una compagnia di laudesi, e ciò è suffragato dal fatto che una laude (Laudiam tutti Geso Cristo), che è ripetuta per ben due volte, fa un preciso riferimento alla "compagnia della Vergine Maria"; e sappiamo come queste confraternite fossero intitolate alla Vergine e si riunissero per cantare laudi a Maria. Inoltre è significativo il fatto che il primo gruppo di laudi presenti nel codice fiorentino, dopo la lode allo Spirito santo, sia composto da canti rivolti a Maria o riferiti ai misteri di Cristo dove è sempre ricordata anche la Madre (sono l laudi che vanno dalla n. 3 alla n. 30). Propendiamo quindi per una compagnia sì di laudesi ma intitolata non a S. Eustachio ma alla Vergine Maria.
Le laudi in onore a S. Eustachio, poste all'inizio e alla fine della raccolta, potrebbero inoltre far pensare alla chiesa dove la compagnia dei laudesi aveva la propria sede e si riuniva per cantare. Questa chiesa riteniamo possa essere la pieve di S. Eustachio ad Acone, antico castello nel territorio di Pontassieve, comune vicino a Firenze alla confluenza della Sieve con l'Arno. E' interessante notare che nei documenti del Due-Trecento il santo titolare di questa pieve si trova indicato come "S. Eustasii", "S. Stasii", fatto che presenta una evidente assonanza con il termine volgare di Estagio o Astagio, come si trova nelle laudi. Inoltre i documenti di archivio attestano l'esistenza nella pieve di Acone di una compagnia intitolata a S. Maria "ad Nives". In più risulta essere l'unica chiesa parrocchiale di tutto il territorio della diocesi fiorentina intitolata a S. Eustachio.
La provenienza dal territorio rurale giustificherebbe poi la qualità del codice stesso. Altro fatto da tenere in considerazione è che la pieve di Acone era feudo del vescovo fiorentino, e ciò potrebbe anche spiegare la giacenza del codice nell'archivio arcivescovile senza però trascurare nemmento l'ipotesi che il manoscritto, in seguito alla soppressione leopoldina delle confraternite, avvenuta alla fine del Settecento, sia entrato in possesso della famiglia Cecconi oppure dello stesso archivio arcivescovile.
Le confraternite dei Laudesi
Già il Cecconi nella sua Introduzione a proposito dell'antichità e dell'origine fiorentina di queste compagnie citava i Sigilli di Domenico Maria Manni: queste, dette anche Scuole, "avean di proprio di adunarsi nelle principali Chiese di Firenze a cantare inni e laudi volgari, uomini e donne insieme... Le nostre (Scuole, ossia pie Confraternite laicali) peraltro fiorirono dal secolo XIII a più del XV. In tal cantare s'impiegavano i Laudesi di Santa Maria del Fiore e d'Orto San Michele, i Laudesi di Santa Maria Novella, quelli di Santa Croce, quelli del Carmine, quei di Santo Spirito, i Laudesi di Santa Maria Maggiore, quei d'Ognissanti, degli Umiliati, e quei de' Servi con più altri; e furon coloro che diedero principio alle più antiche pur oggi perseveranti Confraternite di secolari". La più antica compagnia di laudesi sembra essere quella di S. Maria Novella che cominciò a radunarsi intorno al 1244 su ispirazione di S. Pietro Martire. Mentre la famosa compagnia di laudesi che si riuniva in S. Reparata, la cattedrale dei fiorentini, fu fondata nel 1281.
Studi più recenti su queste confraternite, come quelli del Meersseman, ci aiutano a capire come si svolgessero le adunanze di questi confratelli. Ogni sera all'ora di "compieta" questi si recavano in chiesa per eseguire ed ascoltare il canto delle laudi. Il canto infatti generalmente era affidato a coloro che avevano una bella voce mentre gli altri ripetevano solo il ritornello.
S. Eustachio
Le laudi rivolte a questo santo che aprono e chiudono il laudario fiorentino si ispirano al racconto della leggenda del martirio di Eustachio avvenuto insieme alla moglie e ai figli sotto l'imperatore Adriano.
La Leggenda aurea di Jacopo da Varagine ci attesta con ampi particolari le vicende di questo santo martire. Era un generale dell'esercito dell'imperatore Traiano e si chiamava Placido. Un giorno mentre era a caccia e inseguiva un cervo ebbe la visione di una croce luminosa apparsa fra le corna del cervo da cui proveniva la voce di Cristo, con cui ebbe un colloquio molto simile a quello di Paolo sulla via di Damasco. Come risposta alla rivelazione di Cristo Placido dichiarò prontamente la sua fede e si fece battezzare col nome di Eustachio insieme alla moglie Teospite e ai figli Agapito e Teospito. Da un'altra visione di Cristo, simile alla prima, Eustachio ricevette l'annuncio che la sua vita sarebbe stata piena di tribolazioni, privazioni e sofferenze, come fu l'esperienza del biblico Giobbe, ma che alla fine avrebbe potuto godere della restituzione di ogni cosa perduta. Così avvenne. Fu depredato di tutti i beni e della sua casa. Mentre così impoverito fuggiva con la famiglia verso l'Egitto, gli fu rubata la moglie e durante la traversata di un fiume perse anche i figli. Intanto l'imperatore ricordandosi del valore e delle imprese di Placido lo fece cercare in tutte le parti dell'impero. Riconosciuto fu portato dall'imperatore il quale nuovamente lo fece generale dell'esercito. Mentre era occupato nell'arruolare nuovi soldati ritrovò prima la moglie e poi i figli. Quando si furono riconosciuti e conobbero le rispettive peripezie potettero ringraziare il Signore. Ma tornati a Roma subirono il martirio da parte del nuovo imperatore, Adriano, perché non vollero sacrificare agli idoli e tradire la loro fede in Cristo.
Le laudi
Le laudi contenute nel codice attualmente risultano essere in tutto 80, cui vanno aggiunte le Litanie. Fra di esse abbiamo considerato anche quella dedicata a S. Paolo e che si trova scritta sulla tavoletta di legno che copre il codice; inoltre una è ripetuta due volte. Dato che il manoscritto in questo ultimo secolo è stato privato del duerno contrassegnato dai numeri XXVIII e XXIX occorre aggiungere le altre quattro laudi, che occupavano i due fogli nel recto e nel verso e che furono pubblicate dal Cecconi; sono: Laudata sempre sia la vergine Maria (X), Gli occhi mi piangono e 'l cor mi dole (XXI) Martir valente, san Pier da mare (LXXIII), Regina preziosa, Madre del Glorioso (LXXX). Inoltre è da notare l'omissione che il Cecconi fa della laude Cristo, amore diletto, Te guardando. Dal confronto con altre raccolte di laudi, come aveva fatto anche la Bettarini, risulta una notevole comunanza con altri laudari toscani. Nel corso dell'edizione daremo di ogni laude le varianti in riferimento ai codici cortonese, aretino e trivulziano come oggi possono essere conosciuti nell'edizione critica delle Laude cortonesi dal secolo XIII al XV. Altra comunanza era stata individuata dalla Bettarini con i due laudari fiorentini della Magliabechiana (Biblioteca Nazionale di Firenze).
Dall'analisi del laudario risulta che il nucleo più antico si ritrova nelle laudi di tipo "alleluiatico" e mariane comuni al cortonese; in seguito possiamo porre il gruppo delle laudi jacoponiche o pseudojacoponiche (Lamentomi e sospiro, O Cristo onipotente, Quando t'alegri, Segnior mio, ch'i' vo languendo, Vita di Geso Cristo) insieme ai canti propri degli altri laudari toscani. Infine vanno considerate le laudi in onore dei santi comuni ai codici magliabechiani.
Risultano peculiari e uniche del nostro laudario, oltre le due laudi per S. Eustachio, altre 17, e precisamente: Piangha ogn' uomo ad alta boce, lo tormento de la croce (19), Alta uergine luce nel cu' bel lume (22), Aue chantiamo con divoto chore, a la beata uergine Maria (23), Aue gloriosa misericordiosa, regina pretiosa ora n' aiuta (26), Benedecta sie tu et laudata, alta regina inchoronata (28), La Santa croce sia laudata, per le' siam richomperati (51), Gente laudate il saluatore, e la dolce surrexione (53), Alto Padre a uoi m'arrendo, ch' io son forte pecchatore (54), Laudiam tutti Geso Cristo, nostro dolce creatore (57 e 69), Geso Cristo segnor potente, ch' umilia 'l core a tutta gente (58), Venite genti chon diuoto chore, e laudiamo Iddio nostro signore (61), Sam Paolo diritto serafino, uasello pieno d' amore diuino (64), Ad alta bocie chiaman tutti Iddio (71), Cristo amore diletto te guardando (76), In grande fede e con amore, uo' che laudiam questo doctore (78), Chi ama di buon chore (81). Di seguito alle laudi nelle ultime due carte del codice abbiamo le "Litanie dei santi" che seguono la tradizione liturgica con la particolare nota fiorentina data dalla presenza dei santi propri come S. Miniato e S. Zanobi.
Altra osservazione da fare sui testi delle laudi è relativa alla loro redazione che risulta molto ridotta con alcune eccezioni. Come annota la Bettarini "le laudi di tradizione jacoponica o pseudojacoponica sono accorciate ma con un congruo numero di versi (O Cristo onipotente [38], Vita di Geso Cristo [41], Quando t'alegri [70], e il componimento Segnior mio, ch'i' vo languendo [59] è dato per intero... viceversa, le laudi d'altra tradizione (e la stratigrafia è complessa) figurano in forma brevissima, se non addirittura ridotte, in percentuale assai elevata, alla ripresa e alla prima strofe (9, 12, 13, 14, 18, 25, 31, 36, 43 [= Mgl1], 46, 47, 49, 56, 65, 66, 75, 77)".
Infine va rettificata la nota della Bettarini circa la mancata edizione da parte del Cecconi di un frammento di laude a san Paolo, che si legge "nel foglio incollato all'assicella di guardia, attualmente spezzata a metà". Per la verità il Cecconi la riporta nella nota relativa all'altra laude rivolta all'apostolo Paolo (In grande fede e con amore [78]) e anche noi l'abbiamo trascritta alla fine della silloge.
La dottrina
La preoccupazione del Cecconi nel voler dare un ordine dottrinale alla raccolta di laudi contenute nel laudario fiorentino tende a mettere in risalto, al di là del loro valore storico-musicale e letterario-filologico, proprio i contenuti teologici dei componimenti. Questo tipo di attenzione non ha ancora trovato molto spazio negli studi riservati ai laudari medievali che sono invece oggetto di studio soprattutto per l'aspetto musicologico.
Insieme al teatro sacro nelle sue primitive forme drammaturgiche medievali le laudi costituiscono uno strumento non meno significativo della trasmissione delle verità di fede e della fissazione nella memoria popolare delle stesse verità. Oltre alle laudi cosiddette "drammatizzate", quelle cioè che si prestavano ad essere rappresentate in alcune occasioni e feste popolari e dove il sentimento religioso trovava maggiore possibilità di espressione - basta pensare alla centralità di Maria addolorata nel suo rapporto umano col figlio morente -, vanno considerate quelle composizioni dai contenuti meno narrativi e più contemplativi che fanno da cerniera tra il momento liturgico della celebrazione dei misteri cristiani, la professione della fede e la vita drammaticamente vissuta tra la paura della morte eterna e la gioia della salvezza cercata e ricevuta.
Le laudi possono quindi a ragione essere cosiderate come "prediche in versi": non solo sono espressione di lode, di preghiera e di pietà popolare ma anche veicolo attraverso cui si fissavano nella mente, anche dei più poveri di cultura, le sintesi dottrinali e narrative del mistero cristiano così come veniva celebrato nella scansione festiva dell'anno liturgico.
Si tratta di un breve accenno di come anche i laudari debbano essere considerati e studiati dal punto di vista catechetico nel più vasto e complesso quadro delle molteplici forme comunicative della fede e dell'esperienza religiosa: dalle forme orali dell'istruzione e della predicazione alle forme iconiche dei cicli figurativi delle "bibbie dei poveri", fino alle forme musicali e drammatiche del canto e delle rappresentazioni sacre. Tutti codici comunicativi che nella loro integrazione hanno da sempre favorito l'apprendimento e l'interiorizzazione del patrimonio biblico, dottrinale e liturgico della fede cristiana.
don Gilberto Aranci
Pasqua 2001


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